Domande e risposte

Rispondere ai tanti dubbi su psicologia e psicoterapia è lo scopo di questa sezione, che però non ha fine terapeutico e di sostegno, ma solo di promozione e divulgazione della cultura psicologica. I vari temi sono affrontati facendo rifermenti anche a specifici indirizzi teorici o riportando opinioni personali, frutto dell’esperienza professionale maturata negli anni. Il ricorso ad esempi è utilizzato esclusivamente per facilitare la comprensione del lettore ed esplicitare particolari concetti. Tali esempi non hanno valenza generale ma devono essere contestualizzati all’interno della specifica domanda e risposta. Al di fuori di tali contesti, perdono di significato ed efficacia.

Qual è la differenza tra psicologo, psicoterapeuta e psichiatra?
Chi è lo psicoanalista?
Lo psichiatra è anche psicoterapeuta?
Cos’è un counselor?
Se prendo i farmaci, a cosa mi serve la terapia?
È vero che lo psicologo è per i matti?
È vero che lo psicologo è per i deboli?
E perché non si potrebbe riuscire da soli a guarire ma bisognerebbe per forza andare dallo psicologo?
È vero che lo psicologo manipola le menti?
È davvero possibile cambiare?
Come può lo psicoterapeuta capire il dolore di una persona?
Cosa significa empatizzare?
Come è possibile risolvere problemi con la parola? Come funziona?
Quanto dura una psicoterapia? È vero che dura molto? Perché?
È vero che la psicoterapia costa troppo?
Cosa giustifica la differenza di prezzo tra un professionista e l’altro?
Quale potrebbe essere una tariffa adeguata?
Non è meglio parlare con un amico?
È vero che non ci si può rivolgere da uno psicoterapeuta amico? Perché?
Un amico terapeuta potrebbe offrire maggiori garanzie e disponibilità, come ad esempio sulla tariffa?
È vero che agli psicologi basta vederti una volta per analizzarti?
Cos’è l’interpretazione?
E se poi la psicoterapia non funziona?
Se il mio terapeuta mi delude?
Qual è la differenza tra psicologo, psicoterapeuta e psichiatra?

Anche se spesso queste figure professionali si confondono o sovrappongono, in realtà corrispondono a percorsi di studio differenti e professioni completamente diverse.
Sinteticamente:

Lo Psicologo è un laureato in psicologia iscritto all’Albo. A questo è riservato l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito. Quello che gli psicologi non possono fare è svolgere una psicoterapia. Per tale attività non possiedono le competenze e conoscenze necessarie. La cura dei disturbi psicologici attiene allo psicoterapeuta. Inoltre lo psicologo non prescrive farmaci, che è prerogativa dei medici.

Lo Psicoterapeuta è invece un laureato in Psicologia o Medicina, iscritto al relativo Albo, il quale ha sostenuto una formazione post-universitaria di almeno quattro anni riconosciuta dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca. Lo psicoterapeuta si occupa della cura dei disturbi psicopatologici, che vanno da forme di modesto disagio personale alla sintomatologia grave. Lo psicologo-psicoterapeuta non può prescrivere farmaci.

Lo Psichiatra, infine, è un laureato in medicina, che ha conseguito una specializzazione post lauream in Psichiatria. È orientato a trattare i disturbi mentali da un punto di vista medico, considerando il “funzionamento o non funzionamento” del sistema nervoso in senso biochimico e attraverso la prescrizione di psicofarmaci.

Chi è lo psicoanalista?

Lo psicoanalista è uno psicoterapeuta caratterizzato da un preciso orientamento teorico che per l’appunto è quello psicoanalitico. Le correnti psicoanalitiche sono varie, quindi non necessariamente ci si riferisce alla tradizione freudiana. Per diventare psicoanalisti oltre alla scuola di psicoterapia bisogna frequentare un ulteriore training in psicoanalisi che può durare vari anni e che da diritto, una volta concluso, a diventare membro dell’istituto psicoanalitico in cui ci si è formati. Inoltre questi percorsi di formazione richiedono ai propri candidati una o più psicoanalisi obbligatorie e numerose ore di supervisione personale e di gruppo. È un percorso lungo e impegnativo che comunque offre una preparazione valida e completa alla pratica della professione.

Lo psichiatra è anche psicoterapeuta?

Questa è una questione che spesso genera confusione ed alimenta anche alcune polemiche.
Il Medico specialista in Psichiatria può essere anche abilitato all’esercizio della Psicoterapia, previa richiesta formale di annotazione in apposito elenco presso il proprio Ordine Provinciale di riferimento.
Nonostante ciò, il corso di specializzazione in psichiatria in realtà non prevede una formazione in psicoterapia durante il percorso didattico. Si studia solo “qualcosa” riguardo la psicoterapia, nella stessa misura in cui durante la specializzazione in psicoterapia lo psicologo studia “qualcosa” di farmacoterapia, cioè poco. Sul finire degli anni ottanta, quando la figura dello psicoterapeuta fu regolarizzata, la medicina colmò l’iniziale vuoto che si era creato rispetto alla reperibilità di tale figura professionale e che la psicologia non aveva ancora avuto modo di riempire, poiché all’epoca anche l’albo degli psicologi era di recente formazione/definizione.
Attualmente, gli psichiatri che fanno anche psicoterapia, di solito hanno frequentato corsi di specializzazione in psicoterapia (gli stessi che fanno gli psicologi) oltre alla specializzazione in psichiatria. Dunque, prima di rivolgersi da uno psicoterapeuta è buona norma informarsi se il professionista che abbiamo di fronte ha effettivamente portato avanti una formazione specifica in psicoterapia, sia esso psicologo o psichiatra.

Cos’è un counselor?

Quella del counselor è una figura professionale relativamente nuova ed ancora non chiaramente delineabile e per tali motivi, a volte può generare confusione in chi necessita di un intervento specialistico senza avere riferimenti chiari. In generale, appartengono a questa categoria professionisti che a vario titolo e con diversi tipi di formazione, propongono interventi brevi e circoscritti in situazioni che ruotano attorno al benessere psicologico. Al momento tale figura professionale non è regolamentata e non vi sono ordini o percorsi formativi riconosciuti dalla nostra legislazione, dunque chiunque potrebbe proporsi sul mercato con questo nome. Tali incertezze hanno aperto un dibattito che ha portato il TAR del Lazio, con sentenza n. 13020/2015 del 17 Novembre 2015, ha disporre che la pratica del counseling è atto tipico e proprio dello psicologo, dunque non accessibile al counselor che non sia iscritto all’albo degli psicologi.
Nel riguardo di tutti, credo che sia importante chiedere informazioni al professionista contattato, in merito alla sua formazione, al numero d’iscrizione all’Albo, alle competenze ed al tipo d’intervento proposto, nel rispetto della chiarezza deontologica e della tutela della propria salute.

Se prendo i farmaci, a cosa mi serve la terapia?

I farmaci intervengono esclusivamente sui substrati neurochimici dei sintomi e non risolvono il problema di fondo né costruiscono nuovi modi di essere. Essi possono dare una sensazione di benessere agendo a livello biochimico, ma se alla base della richiesta di aiuto c’è un trauma irrisolto, i farmaci non aiuteranno a superarlo e la problematica persisterà. Questo non significa che non siano utili anzi, in alcuni casi, come nelle gravi depressioni o nelle psicosi, sono indispensabili nel salvaguardare dal rischio di suicidio o per stabilizzare i pazienti. Per questo motivo è sempre auspicabile che psichiatra e psicoterapeuta collaborino nella cura del paziente

È vero che lo psicologo è per i matti?

Lo psicologo si occupa del benessere psicologico della persona e rivolgersi da uno specialista significa prendersi cura di se stessi, riconoscere di vivere un malessere o un disagio di vario genere e volerlo risolve al fine di migliorare la qualità della propria vita.
Per fare un parallelo con la medicina e rendere meglio il concetto, sarebbe un po’ come dire che chi chiede aiuto ad un ortopedico per un’ernia al disco è uno storpio, mentre invece è semplicemente una persona che soffre di un problema fisico che gli provoca dolore e lo limita nelle attività quotidiane, una persona che vuole risolvere un problema e stare meglio.
Inoltre, per dare una risposta più ampia, nel linguaggio comune il termine “matto” sta ad indicare un soggetto affetto da una grave disturbo, come ad esempio la schizofrenia (dicendo questo non intendo in alcun modo sottovalutare questa patologia o denigrare chi ne è affetto), che nella stragrande maggioranza dei casi richiede l’intervento di uno psichiatra e non la consulenza di uno psicologo. Quello dello “psicologo per i matti” è un “falso mito” che trae origine dall’antico timore che gli uomini provavano e probabilmente provano tuttora, per qualcosa che non conoscevano e non sapevano gestire e per la conseguente paura di essere isolati dalla loro comunità se riconosciuti appunto come “matti”.

È vero che lo psicologo è per i deboli?

Chi si rivolge da uno psicologo o da uno psicoterapeuta è una persona che decide di mettersi in discussione per affrontare e risolvere quei disagi che gli rendono la vita difficile. La decisione di andare da un professionista denota maturità e responsabilità, non debolezza.
Questo, come anche il definirsi forti e capaci di affrontare tutto da soli, è un “falso mito” che nasconde il timore di tanti di essere giudicati ed etichettati da parenti, amici o dal terapeuta stesso. Inoltre spesso nasconde una difficoltà ancora maggiore, forse una delle più grandi nell’essere umano, quella di mettere in discussione la propria esperienza di vita, rivedere tanto di se stessi ed affrontare insicurezze che fanno paura.

E perché non si potrebbe riuscire da soli a guarire ma bisognerebbe per forza andare dallo psicologo?

Da soli è molto difficile se non improbabile. Non nego che alcuni, in situazioni favorevoli e con l’aiuto dei familiari, riescano a superare momenti difficili. Quando questo avviene non possiamo che esserne felici e sottolineare le risorse di un certo ambiente di riferimento ma, alla fine, anche in questo caso, si riesce a superare una fase negativa grazie all’aiuto delle persone care e non da soli.
Ma se invece i familiari non riuscissero ad offrire un valido aiuto? Se l’ambiente di riferimento non offrisse appigli sufficienti? O se, ancora, fosse lo stesso ambiente o alcune dinamiche riconducibili alla famiglia ad essere all’origine del malessere? È proprio in casi simili che l’aiuto di un professionista diventa fondamentale poiché, Francesco, la cosa è molto più complessa di come potrebbe apparire.
Usando un esempio forte, che ci avvicina al mondo della medicina, sarebbe come dire che una persona affetta da una grave malattia decidesse di non rivolgersi ad un medico specialista per farsi curare, ritenendo di riuscire a farlo da solo. Nessuno lo farebbe, anzi tutti noi vorremmo essere curati dal migliore medico in circolazione. Perché dunque lo psicoterapeuta dovrebbe fare eccezione?

È vero che lo psicologo manipola le menti?

Per iniziare rispondo al tuo interrogativo. No, lo psicologo non manipola le menti. Come molti altri, anche questo è un “falso mito” che viene attribuito alla psicologia. In nessun momento della formazione di uno psicologo o di uno psicoterapeuta viene insegnato qualcosa di anche lontanamente riconducibile alla manipolazione. Credo che sia doveroso rimarcare che il fine ultimo di un processo di cura è il benessere del paziente, sempre. Chi si rivolge da un terapeuta, ad esempio, viene incoraggiato e sostenuto nell’esplorare i suoi vissuti, nel chiarire a se stesso la propria esperienza, nell’ampliare le proprie prospettive e nello sviluppare nuove capacità. Il paziente viene accompagnato, non manipolato. Nessun professionista degno di questo nome vorrà mai inculcare al paziente pensieri/convinzioni proprie o di altri. Inoltre ci tengo a sottolineare che un percorso di psicoterapia è caratterizzato dalla sospensione del giudizio. Il mestiere dello psicologo o dello psicoterapeuta non è quello di giudicare cosa è giusto o sbagliato, o dare consigli su cosa va fatto o cosa non va fatto. Queste sono conclusioni a cui giungerà il paziente autonomamente, seconde le proprie inclinazioni.

È davvero possibile cambiare?

Certo! Attenzione però, cambiare in psicoterapia non significa diventare un’altra persona diversa da se stessi, o diventare come un conoscente o raggiungere un particolare modello a cui si aspira. Questi non sono esempi di cambiamento, piuttosto soluzioni improbabili che non tengono conto della storia della persona e della continuità dell’esperienza personale. Ora, il concetto di cambiamento in psicologia è qualcosa di estremamente complesso e difficilmente sintetizzabile. Ad ogni modo cercherò, in poche parole, di darne un’idea. Cambiare è consapevolezza, cambiare è ampliare le modalità di interpretazione che vengono date all’esperienza che ci circonda, cambiare è affiancare alle vecchie modalità comportamentali delle nuove meno rigide e più adattive, cambiare è riconoscersi ed accettarsi, cambiare è affrontare le proprie insicurezze, cambiare è sviluppare nuove capacità, cambiare è offrire a se stessi nuove possibilità, cambiare è mettere in comunicazione parti diverse di se stessi, cambiare è imparare a riconoscere i propri sentimenti.
Infine, credo sia importante sottolineare che quel processo di cura, cambiamento, terapia è riconducibile alla sola figura dello psicoterapeuta, dunque il consiglio è quello di non affidare ad altre figure professionali questo delicato compito.

Come può lo psicoterapeuta capire il dolore di una persona?

Lo psicoterapeuta è capace di empatizzare efficacemente con il paziente grazie alla formazione e all’addestramento ricevuto. Questo spesso grazie anche ad una esperienza di psicoterapia diretta che ha fornito al terapeuta gli strumenti adeguati a comprendere l’altro.
A volte alcuni dubitano di ciò ribattendo che si debba aver fatto specifica esperienza del problema per poter comprendere e aiutare una persona in una condizione specifica, ma questo è riduttivo. Non voglio dire che ciò non sia vero, basti pensare ai gruppi di auto-aiuto, ma che non è questo il presupposto necessario per poter capire il dolore dell’altro. Per usare una metafora medica, seguendo questa logica un ginecologo uomo non potrebbe lavorare. Probabilmente l’idea che una persona che ha fatto la nostra stessa esperienza ci possa davvero aiutare, non si basa tanto sulla possibilità dell’aiuto ma piuttosto sul bisogno di essere accettati e di non essere giudicati. Chi non è stato capito in passato, chiede principalmente di essere capito e quindi pensare di avere di fronte qualcuno con esperienze simili lo tranquillizza.

Cosa significa empatizzare?

In maniera molto generale, l’empatia è la capacità di comprendere lo stato d’animo di un’altra persona. È qualcosa di più del semplice mettersi nei panni dell’altro, è una forma di conoscenza, non uno stato emotivo. Ad ogni modo ti suggerisco di vedere questo video che ben descrive l’empatia.

Come è possibile risolvere problemi con la parola? Come funziona?

Una domanda a cui è difficile rispondere in poche righe.
Innanzitutto non è la sola “parola” a garantire il processo psicoterapeutico, c’è anche la relazione! Inoltre non è la parola di per sé, ma il significato che le parole assumono e l’impatto emotivo e sentimentale che hanno sul paziente ad avere un effetto. Ovviamente ognuno di noi ha una storia diversa e dunque anche i significati saranno diversi, come le cause e le conseguenze di tali significati. Come saranno a loro volta diversi i nuovi significati che si svilupperanno dalla terapia Per quanto riguarda la relazione, capire come si organizza la relazione fra analista e paziente non solo aiuta a comprendere quelli che sono i principi che organizzano inconsciamente l’esperienza di quest’ultimo, ma anche ad avviare un preciso processo terapeutico.
Inutile aggiungere che il processo di cura è qualcosa di estremamente complesso e questo non è certo il luogo adatto per trattarlo, ma voglio comunque cogliere l’occasione per dire che la psicoterapia non è qualcosa di fumoso e inconsistente come in molti vogliono lasciar credere, ma è un’attività fortemente strutturata e funzionale con precisi riferimenti che arrivano dalla teoria e dalla ricerca come ad esempio tutti nuovi studi neuroscientifici che grazie alle nuove tecnologie sono riuscite finalmente a confutare vecchi pregiudizi e incertezze, confermando molte di quelle tematiche esplicate dalla teoria.

Quanto dura una psicoterapia? È vero che dura molto? Perché?

Una di quelle domande che spesso mi sento fare.
Ti potrei rispondere il tempo necessario, che è altamente soggettivo, oppure che non si può cambiare in un giorno qualcosa che si è stabilizzato negli anni, o anche che per sviluppare nuove capacità occorre tempo, un po’ come quando si apprende qualcosa di un nuovo. Di certo la durata di una psicoterapia non segue una logica “del tutto o nulla” con un prima e un dopo ben delimitati, piuttosto ha un andamento progressivo, ma che può presentare momenti di stallo alternati a momenti di rapido avanzamento e anche momenti di temporanea regressione, oscillazioni queste che riflettono la complessità dalla psicologia umana. Anche ciò che accade nella vita del paziente nel corso del trattamento può avere una grande influenza, perché cambiamenti nelle condizioni di vita possono agevolare oppure ostacolare il lavoro terapeutico. Altri fattori che influenzano sono ad esempio: il tempo che si è atteso prima di rivolgersi ad uno specialista e la cronicità/gravità del disturbo; la complessità del quadro sintomatologico; il significato che acquisisce il malessere per il paziente e dalla sua capacità di riconoscerlo e di affrontarlo in maniera diretta; l’atteggiamento dell’ambiente familiare e la presenza di una rete sociale. Ripeto, questi sono solo degli esempi, molti altri possono essere i fattori che possono favorire o rallentare il processo terapeutico. Infine credo che sia doveroso fare un accenno all’orientamento psicoterapeutico: il tipo di psicoterapia scelta influenza in parte la sua durata, ma non la determina con certezza, dal momento che non è possibile conoscere in anticipo la reazione del paziente al trattamento, senza contare che interventi brevi non sempre assicurano un successo terapeutico duraturo.

È vero che la psicoterapia costa troppo?

Provo a risponderti con un’altra domanda: “Quanto costa non curarsi?”. Sta tutto lì. Non curarsi “costa” non risolvere le proprie problematiche, soffrire, trascinarsi negli anni una situazione di malessere e disagio, compiere delle scelte sfavorevoli guidate da dinamiche disfunzionali, perdere occasioni, non riuscire a “vivere” pienamente la propria vita, ecc. .
Dunque, ad esempio, “quanto costerebbero quegli anni, quelle occasioni perse, quelle scelte sbagliate?”, ma anche, “quanto ci farebbero guadagnare anni vissuti serenamente, possibilità e occasioni nuove, scelte equilibrate ed adattive?”
Molti degli approcci contemporanei prevedono un solo incontro settimanale e per quanto possibile, la maggioranza dei professionisti cerca di andare incontro alle disponibilità economiche del paziente.
Infine mi preme aggiungere che i risultati della psicoterapia sono per sempre, non si rompono, non scadono, non vanno fuori moda, non hanno un limite di durata o efficacia. Nessuno ve li potrà mai togliere e potrete sempre farvi affidamento.

Cosa giustifica la differenza di prezzo tra un professionista e l’altro?

Non è semplice risponderti. Sono vari i parametri che fanno la tariffa, come ad esempio il tipo di intervento, sia esso una consulenza, una valutazione testologica o una terapia. Esiste un tariffario con indicazioni sui prezzi minimi e massimi per il tipo di prestazione, sul sito dell’ordine nazionale degli psicologi. A questo punto ci si potrebbe chiedere da cosa è giustificato il minimo e il massimo. Beh, certamente dalla formazione e dall’esperienza. Senza entrare nel merito per non voler creare nessuna polemica, posso comunque dirti che a parità di titolo, esistono però formazioni più lunghe, impegnative e costose, poiché richiedono una o più terapie individuali obbligatorie e decine e decine di ore di supervisione, come ad esempio le scuole ad indirizzo psicoanalitico. Ad ogni modo conta che per acquisire il titolo di psicoterapeuta occorrono almeno dieci anni di studio e ti assicuro che non sono pochi, senza contare altri eventuali corsi e l’aggiornamento continuo. Poi dicevo dell’esperienza. Un professionista con una certa esperienza potrebbe avere un tariffario maggiore rispetto ad un neolaureato. Anche il prestigio acquisito da un terapeuta negli anni va poi ad incidere sul prezzo. Discorso a parte lo fanno quelle professionalità che senza avere né titoli né esperienza praticano tariffe bassissime offrendo servizi spesso ingannevoli.
Il consiglio è sempre lo stesso, non risparmiate sulla vostra salute e chiedete sempre informazioni al professionista contattato, in merito alla sua formazione, al numero d’iscrizione all’Albo, alle competenze ed al tipo d’intervento proposto.

Quale potrebbe essere una tariffa adeguata?

Per questa domanda non esiste una risposta precisa e non mi sento di darti una risposta generale, poiché ogni psicoterapeuta pratica una tariffa secondo vari parametri personali che sono variabili, come ad esempio le spese dello studio o la tassazione a cui è soggetto. Inoltre, quando possibile, la tendenza è quella di andare incontro al paziente se ci sono problematiche di questo tipo. Ad ogni modo ti basterà chiedere ad alcuni professionisti per farti una rapida idea degli onorari. Ma attenzione, non scegliete il vostro terapeuta seguendo solo una logica economica e del risparmio. Ovviamente questa è una variabile che preme a molti, ma credo che sia ancora più importante la propria salute. La scelta deve rivolgersi ad un professionista con cui vi sentite a vostro agio e che vi offre delle garanzie rispetto alla formazione ed alla competenza. Rinnovo il mio consiglio, non risparmiate sulla vostra salute, poiché in molti casi un prezzo più alto potrebbe essere sinonimo di qualità ed offrire maggiori garanzie e chiedete sempre informazioni al professionista contattato, in merito alla sua formazione, al numero d’iscrizione all’Albo, alle competenze ed al tipo d’intervento proposto. Ti assicuro che ci sono ottimi psicoterapeuti che praticano delle tariffe congrue. Infine, se non si può o non ci si vuole rivolgere ad un privato, il Servizio Sanitario Nazionale può in questo caso offrire una soluzione.

Non è meglio parlare con un amico?

Confidarci e confrontarci con una persona di cui ci fidiamo è assolutamente “sano”, ma è anche qualcosa di completamente diverso dall’intervento di un professionista della salute mentale.
Lo Psicologo, o psicoterapeuta, possiede oltre a capacità di comprensione ed empatia, quelle specifiche conoscenze, competenze e strumenti necessari per prevenire e risolvere un disagio psicologico, oltre alla indispensabile esperienza.
Usando una metafora medica: credo che ognuno di noi parlerebbe con un amico di un problema cardiaco, ma poi comunque si rivolgerebbe ad un cardiologo per la cura.

È vero che non ci si può rivolgere da uno psicoterapeuta amico? Perché?

Perché un legame di amicizia tra paziente e psicoterapeuta potrebbe essere, anzi per me lo è, controproducente al processo terapeutico, ovvero non è terapeutico! Non aiuta il paziente piuttosto lo danneggia nel lungo termine! Questo perché la relazione terapeutica non è un rapporto fra amici, ma un rapporto fra paziente e terapeuta che presenta delle precise regole e che avviene all’interno di un preciso setting che prevede anche un compenso economico. Ad esempio, come sarebbe possibile la sospensione del giudizio con un amico che si conosce e di cui si ha già una precisa idea? Come si potrebbe lavorare sulla relazione se c’è già una relazione di amicizia che va a sovrapporsi? Potrei continuare così ancora per molto, ma credo che il senso delle mie parole sia chiaro. Credo che ogni buon terapeuta abbia il dovere di ben indirizzare ad un collega un amico in difficoltà, senza sovrapporre o confondere le due relazioni.

Un amico terapeuta potrebbe offrire maggiori garanzie e disponibilità, come ad esempio sulla tariffa?

Potrebbe, ma non è detto, inoltre rimarrebbe, a mio avviso, una condizione assai discutibile e non terapeutica. Ogni qualvolta uno psicologo/psicoterapeuta decide di prendere in cura un paziente, si assume delle responsabilità nei suoi confronti ed automaticamente offre la sua disponibilità. Rispetto alla tariffa, credo sarebbe un grosso errore rivolgersi ad un amico per spuntare un prezzo minore. Mi spiego meglio, ma affrontando il tema in maniera generale. Quando ci si rivolge ad un privato, ci si rivolge comunque ad un professionista che offre un servizio in cambio di un riconoscimento economico. Quando il riconoscimento è basso, da una parte si potrebbe rischiare di non mettere il professionista nelle condizioni di lavorare serenamente (ricordatevi che anche lo psicoterapeuta è una persona che ha delle spese), dall’altra il paziente potrebbe sentirsi, nel caso non si trovasse a suo agio con quel terapeuta o comunque vorrebbe esprime lui dei dubbi, “intrappolato” in una sorta di “ricatto economico” in quanto l’amico terapeuta gli sta facendo un favore. Quest’ultima dinamica è qualcosa a mio parere di molto pericoloso e assolutamente non terapeutico, perché ne va a falsare il processo psicoterapeutico in alcune suo parti.

È vero che agli psicologi basta vederti una volta per analizzarti?

Ciao Mariachiara. Se ho ben inteso la tua domanda, mi stai chiedendo se ad uno psicologo/psicoterapeuta/psicoanalista basta vedere e parlare con una persona una volta per capire tutto di lui anche in contesti non terapeutici. A tal proposito mi tornano in mente tutte le volte in cui, tra amici e conoscenti, mi sono sentito rivolgere frasi del tipo: “Ma mi stai psicoanalizzando?”, oppure “Mi psicoanalizzi?”, o anche “Devo stare attento a quello che ti dico altrimenti mi psicoanalizzi!”. Beh, la risposta è: impossibile. Il processo di conoscenza di una persona e di comprensione delle dinamiche che caratterizzano la sua esperienza, è qualcosa che richiede tempo e spesso caratterizza tutto il primo periodo del processo terapeutico, anche se poi permane per l’intera sua durata. Tant’è vero che anche la primissima fase di valutazione richiede dalle tre alle cinque sedute prima di una restituzione. Inutile a questo punto aggiungere che tutto questo deve avvenire in un contesto terapeutico che rispetta un preciso setting, non riproponibile fra amici e conoscenti e in contesti di svago. Sarebbe come se, usando una metafora, un cardiochirurgo operasse per strada e non all’ospedale, o come se qualcuno malato di cuore una volta saputo che un suo conoscente è appunto un cardiochirurgo gli chiedesse una diagnosi o di operarlo in un bar. Semplicemente impossibile. Comprendere significa cogliere in maniera profonda le modalità in cui il paziente interpreta l’esperienza che lo circonda ed è qualcosa di assai complesso.

Cos’è l’interpretazione?

In generale sta ad intendere il dare un senso, un significato a un certo comportamento. Nello specifico, secondo il mio orientamento teorico, l’interpretazione aiuta il paziente a prendere consapevolezza della propria prospettiva (vale a dire la modalità in cui interpreta l’esperienza che lo circonda) e di come questa si sia sviluppata associandola ad aspetti della sua storia personale.

E se poi la psicoterapia non funziona?

Una domanda non da poco, che credo racchiuda un po’ il timore di tante persone che stanno per iniziare o hanno iniziato da poco un percorso terapeutico.
In generale, una terapia ben condotta che ha visto la partecipazione attiva e assidua del paziente avrà molto probabilmente degli esiti positivi. Un insuccesso terapeutico è qualcosa che va valutato caso per caso e non si presta ad una generalizzazione. Ad ogni modo il più delle volte se c’è qualcosa che non va si verificherà un’interruzione. Spesso è lo stesso terapeuta che, se lo ritiene opportuno, può inviare il paziente ad un altro collega.

Se il mio terapeuta mi delude?

Cercando di dare una risposta il più possibile generale, mi sento di dire che potrebbe accadere o meglio, sono cose che accadano come in qualsiasi relazione. Normalmente il paziente sente di essere deluso quando avverte che il proprio terapeuta non è sintonizzato con lui. Questo da vita a momenti che vengono definiti di “rottura”. Di solito a questi seguono dei momenti di “riparazione” che ristabiliscono la relazione. Queste fasi sono fondamentali nel processo terapeutico in quanto la relazione ne esce rafforzata, poiché da una parte il paziente sa che può sempre fare affidamento sul suo terapeuta, dall’altro il terapeuta esperto utilizza questi momenti per comprendere meglio il suo paziente ed aiutarlo in maniera più efficace.

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